Nel corso dell’anno…
Visite guidate
Nel corso dell’anno…
Nel corso dell’anno scolastico 2019 sono state accolte alcune classi delle scuole…
Gli occhi del corpo e gli occhi dell’anima
Un curioso aneddoto, conservato da Simplicio nel suo Commento alle categorie di Aristotele (p. 208, 28-32 = SSR V A 149), potrebbe ben costituire la migliore introduzione al tema di questa conferenza. Vi si narra infatti di un mordace scambio di battute, in cui Antistene, pensando così di mettere sotto…
Un curioso aneddoto, conservato da Simplicio nel suo Commento alle categorie di Aristotele (p. 208, 28-32 = SSR V A 149), potrebbe ben costituire la migliore introduzione al tema di questa conferenza. Vi si narra infatti di un mordace scambio di battute, in cui Antistene, pensando così di mettere sotto scacco Platone, lo apostrofa più o meno così: “Caro il mio Platone, vedo certamente il cavallo, ma la cavallinità proprio no!”. Senza scomporsi – e con altrettanta feroce ironia – Platone replica: “Lo credo bene, perché hai l’occhio con cui si vede il cavallo, ma non possiedi affatto quello con cui si contempla la cavallinità!”. Il terreno su cui si consuma lo scontro, che è…
Un curioso aneddoto, conservato da Simplicio nel suo Commento alle categorie di Aristotele (p. 208, 28-32 = SSR V A 149), potrebbe ben costituire la migliore introduzione al tema di questa conferenza. Vi si narra infatti di un mordace scambio di battute, in cui Antistene, pensando così di mettere sotto scacco Platone, lo apostrofa più o meno così: “Caro il mio Platone, vedo certamente il cavallo, ma la cavallinità proprio no!”. Senza scomporsi – e con altrettanta feroce ironia – Platone replica: “Lo credo bene, perché hai l’occhio con cui si vede il cavallo, ma non possiedi affatto quello con cui si contempla la cavallinità!”. Il terreno su cui si consuma lo scontro, che è insieme ontologico e conoscitivo ed etico, è quello che ha segnato sin dall’inizio i destini della tradizione del pensiero occidentale: possiamo e dobbiamo restare all’interno della sola dimensione corporea, con i suoi apparati percettivi sensoriali più o meno affidabili, oppure possiamo e anzi fortemente dobbiamo staccarci dal corpo, per affidarci a una realtà diversa, più alta e più profonda, ovvero a quell’anima che sembra fare la sua comparsa nella riflessione filosofica già con Eraclito, per poi affermarsi con la tradizione pitagorica e infine soprattutto con Socrate e Platone? Proprio a Platone sarà dedicata la prima parte di questa lectio inauguralis, con l’intento di mettere a fuoco, rispetto all’anima platonica, da una parte la sua struttura e il suo destino (con particolare attenzione alla splendida immagine mitica della biga alata conservata nel Fedro, 246a-251b), dall’altra l’uso che essa sa fare delle immagini, che pure vengono veicolate dal corpo, ma su cui al massimo ci si può fondare per slanciarsi oltre, per raggiungere una metà extra-corporea (come con rara efficacia letteraria mostra la scala amoris descritta nei dettagli nel Simposio, 209e-212c). Nella seconda parte della conferenza, invece, contro la pretesa superiorità degli occhi dell’anima, sarà dato spazio alla teoria più anti-platonica che il mondo antico abbia conosciuto:…
Italiani nel mondo
I Veda
Da tempi immemorabili la relazione maestro-discepolo costituisce l’asse portante dell’universo religioso indiano, il suo cuore pulsante. Se ne constata la persistenza, pur nelle inevitabili riconfigurazioni d’identità e funzioni, con il mutare delle situazioni storiche e dei contesti ideologici. È davvero impossibile esagerare l’importanza del maestro nelle religioni dell’India. In assenza…
Da tempi immemorabili la relazione maestro-discepolo costituisce l’asse portante dell’universo religioso indiano, il suo cuore pulsante. Se ne constata la persistenza, pur nelle inevitabili riconfigurazioni d’identità e funzioni, con il mutare delle situazioni storiche e dei contesti ideologici. È davvero impossibile esagerare l’importanza del maestro nelle religioni dell’India. In assenza di una autorità ecclesiale centrale, di istituzioni quali la Chiesa in Occidente su cui incardinare il magistero, il maestro è da sempre la guida autorevole, l’imprescindibile punto di riferimento. A un tempo, egli autentica e rinnova quel tesoro sapienziale di cui è viva incarnazione, la più alta testimonianza. All’interno di ognuna delle innumerevoli tradizioni, la necessità del maestro è indiscussa, essendo egli il ricevitore (dal…
Da tempi immemorabili la relazione maestro-discepolo costituisce l’asse portante dell’universo religioso indiano, il suo cuore pulsante. Se ne constata la persistenza, pur nelle inevitabili riconfigurazioni d’identità e funzioni, con il mutare delle situazioni storiche e dei contesti ideologici. È davvero impossibile esagerare l’importanza del maestro nelle religioni dell’India. In assenza di una autorità ecclesiale centrale, di istituzioni quali la Chiesa in Occidente su cui incardinare il magistero, il maestro è da sempre la guida autorevole, l’imprescindibile punto di riferimento. A un tempo, egli autentica e rinnova quel tesoro sapienziale di cui è viva incarnazione, la più alta testimonianza. All’interno di ognuna delle innumerevoli tradizioni, la necessità del maestro è indiscussa, essendo egli il ricevitore (dal proprio maestro) e il trasmettitore (per i discepoli e il successore ch’egli eleggerà) del sapere sacro in una linea di successione idealmente ininterrotta. La relazione maestro-discepolo fonda la comunicazione del sapere fin dall’ingresso nel Nord del subcontinente di popolazioni nomadi indo-arie – a partire dal 1400-1300 a.C. – provenienti dagli attuali Iran orientale, Afghanistan e Pakistan. Gli arya, come vennero ad autodefinirsi (lett. “nobile”: il termine designa in primis l’aristocrazia guerriera), giunsero nell’alta valle dell’Indo attraverso i valichi himalayani. Essi erano suddivisi in clan e la loro economia si basava prevalentemente sull’allevamento e la pastorizia. Ideologicamente, la nobiltà arya ruotava intorno alla pratica del sacrificio rituale (yajna): gli autoctoni a loro contrapposti (i dasa/dasyu, termine che in seguito designerà gli schiavi) sono etichettati spregiativamente quali a-yajvan (“non sacrificanti”), a-karman (“privi d’azione rituale”), a-deva (“senza Dio”, “empi”), a-brahman (“ignari della Parola sacra”). (…)
La composita congerie di materiali denominati Veda (“sapienza”) costituisce il cardine della civiltà e della “religione” degli arya, e anche il più antico documento sopravvissuto di una letteratura orale indoeuropea. Gli arya dovettero presto cancellare ogni memoria di essere penetrati in India provenienti da nord-ovest, in migrazioni successive. Di fatto, nei Veda non se ne fa cenno. La “rivelazione”/”audizione” degli inni vedici – non frutto d’uomo, ma autoestrinsecazione dell’Assoluto (Brahman) – sarebbe stata udita/vista in illo tempore da antichi “vati/veggenti”, i rsi, in virtù di una perfetta “sintonizzazione” contemplativa: questo è il dogma.…
Giacomo Molza
Lazzaro Mocenigo
Alfonso Varano
Paolo Boschetti
Il libro di Giona è un libro unico nel suo genere e, assurto a esempio di linguaggio simbolico e universale, è divenuto il libro della teshuvà – pentimento, ritorno, risposta – per antonomasia.
Achille Tacoli
Aula del Collegio
L’islam degli sciiti
San Filippo Neri predica alla folla in presenza di San Carlo
Filosofia e teatro
Le Operette morali da Giacomo Leopardi, mise en espace, ERT − Emilia Romagna Teatro Fondazione e Fondazione San Carlo, 7…
Osservare l’antico per conoscere il moderno
Il tema del workshop dell’anno 2019 organizzato dalla Fondazione San Carlo con gli studenti delle scuole superiori è l’ambiente. I…
I polmoni, il sangue e l’impasto di farina
Dalla Redazione - E' giunta stamattina in Redazione una lettera aperta dell'illustre medico Bernardino Ramazzini, professore ordinario di Medicina presso…
Dalla Redazione - E' giunta stamattina in Redazione una lettera aperta dell'illustre medico Bernardino Ramazzini, professore ordinario di Medicina presso l'Università di Modena.
Il professore ci prega di pubblicare il suo testo perché l'aggiornamento dei suoi studi sia noto non solo negli ambienti accademici ma all'intera popolazione e noi, come servizio pubblico, riportiamo volentieri di seguito l'intero scritto:
Il lavoro per scoprire le cose della natura incontra tali oscurità e difficoltà, che i nostri sensi sembrano incapaci di determinare alcunché perfettamente. Per quanto, ostinandoci in un lavoro improbo, osserviamo la natura madre nei suoi prodotti, come in un libro scritto in forma enigmatica, e frugando tra i visceri degli animali, cerchiamo di scoprire quanto in essi si occulta; alla fine…
Dalla Redazione - E' giunta stamattina in Redazione una lettera aperta dell'illustre medico Bernardino Ramazzini, professore ordinario di Medicina presso l'Università di Modena.
Il professore ci prega di pubblicare il suo testo perché l'aggiornamento dei suoi studi sia noto non solo negli ambienti accademici ma all'intera popolazione e noi, come servizio pubblico, riportiamo volentieri di seguito l'intero scritto:
Il lavoro per scoprire le cose della natura incontra tali oscurità e difficoltà, che i nostri sensi sembrano incapaci di determinare alcunché perfettamente. Per quanto, ostinandoci in un lavoro improbo, osserviamo la natura madre nei suoi prodotti, come in un libro scritto in forma enigmatica, e frugando tra i visceri degli animali, cerchiamo di scoprire quanto in essi si occulta; alla fine riconosciamo che i nostri sforzi non riescono ad afferrare la verità se non attraverso immensi tedi di osservazioni, in cui cerchiamo di farci luce come per gradi, sezionando ora gli insetti ed ora gli animali perfetti. E’ infatti costume della natura intraprendere le sue grandi opere soltanto dopo una serie di tentativi a più bassi livelli, e abbozzare negli animali imperfetti il piano degli animali perfetti.
Per entrare in argomento riprendo due punti che avevo lasciato in sospeso nelle mie prime comunicazioni circa i polmoni, ripromettendomi di sottoporli a indagini più approfondite.
Sulla funzione dei polmoni so che molte teorie ci sono state lasciate dagli Antichi, ma moltissimo se…
Avvenimento al trono di Alessandro il Grande
A Filippo, Re di Macedonia, successe il figlio Alessandro che sarà poi chiamato il Grande per le vittorie che riportò.
Egli salì al trono quando Sirmio, Re dei Triballi o…