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Orizzonti mediterranei
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Mythos e logos
Tutti conoscono la storia che Platone racconta all’inizio del Libro VII della Repubblica. In una caverna vi sono dei prigionieri incatenati, costretti a guardare soltanto davanti a loro, là dove c’è una parete. Alle spalle dei prigionieri vi è una strada sopraelevata, schermata da parapetti. Sulla strada passano persone che…
Tutti conoscono la storia che Platone racconta all’inizio del Libro VII della Repubblica. In una caverna vi sono dei prigionieri incatenati, costretti a guardare soltanto davanti a loro, là dove c’è una parete. Alle spalle dei prigionieri vi è una strada sopraelevata, schermata da parapetti. Sulla strada passano persone che portano oggetti vari. Dietro la strada vi è situato un fuoco. Dato che i prigionieri non possono voltarsi e mai una volta hanno potuto farlo, sono persuasi che la realtà, l’unica realtà, sia quella delle ombre che essi vedono sulla parete. Ad un certo momento, narra Platone, un prigioniero viene liberato e può uscire dalla caverna. Gradualmente e con fatica si renderà conto non solo…
Tutti conoscono la storia che Platone racconta all’inizio del Libro VII della Repubblica. In una caverna vi sono dei prigionieri incatenati, costretti a guardare soltanto davanti a loro, là dove c’è una parete. Alle spalle dei prigionieri vi è una strada sopraelevata, schermata da parapetti. Sulla strada passano persone che portano oggetti vari. Dietro la strada vi è situato un fuoco. Dato che i prigionieri non possono voltarsi e mai una volta hanno potuto farlo, sono persuasi che la realtà, l’unica realtà, sia quella delle ombre che essi vedono sulla parete. Ad un certo momento, narra Platone, un prigioniero viene liberato e può uscire dalla caverna. Gradualmente e con fatica si renderà conto non solo del fatto che quella della caverna non è la vera realtà, ma che anzi essa è l’effetto della luce, la cui fonte principale è il sole. Una luce, quella del sole, da cui il prigioniero liberato rimane affascinato. Non vorrebbe più allontanarsene, ma poi sente il dovere di avvertire i suoi compagni e di spiegare loro che si ingannano, che la verità è altra da quella che essi credono e così pure la realtà. Ma i prigionieri non gli credono. Anzi, il prigioniero liberato è oggetto di risate e addirittura per lui è a rischio la vita. Non avendo esperienza alcuna di realtà altra da quella che vivono e vedono da persone incatenate, non ritengono che ne possano esistere di diverse.
Quel che io vorrei sottolineare è il fatto che, a differenza dell’interpretazione corrente che separa piuttosto nettamente verità da inganno, apparenza da realtà, propenderei per una minore enfasi su tali contrapposizioni, spostando l’attenzione verso un altro fattore. Si tratta del fatto che ai prigionieri manca l’esperienza del passaggio, la conoscenza del confine. Il prigioniero liberato ha attraversato il passaggio e superato il confine. È vero che egli, quando scopre la luce del luce, comprende che i suoi compagni si stanno ingannando e si convince…
Il serpente piumato
La sacralità dell’immagine nel cristianesimo antico e medievale
Idolatria, per gli antichi, non era solo l’adorazione prestata a cose che non sono dio, ma anche la costruzione di queste stesse cose, il «farsi come dio» nel voler dare la vita. La religione ebraica e quella musulmana hanno preso molto sul serio la possibile hybris insita nel farsi «creatori»,…
Idolatria, per gli antichi, non era solo l’adorazione prestata a cose che non sono dio, ma anche la costruzione di queste stesse cose, il «farsi come dio» nel voler dare la vita. La religione ebraica e quella musulmana hanno preso molto sul serio la possibile hybris insita nel farsi «creatori», donatori di vita e forma. E d’altra parte alcuni esiti del platonismo e la religione cristiana hanno contribuito a dare all’immagine costruita da mano d’uomo un valore di sacralità, di privilegiato contatto con un mondo «altro». Le origini di questo pensare sono, paradossalmente, anche nelle immagini «acheropite», cioè «non dipinte da mano d’uomo», veli della Veronica o sindoni o altre tracce divine, che tanta importanza…
Idolatria, per gli antichi, non era solo l’adorazione prestata a cose che non sono dio, ma anche la costruzione di queste stesse cose, il «farsi come dio» nel voler dare la vita. La religione ebraica e quella musulmana hanno preso molto sul serio la possibile hybris insita nel farsi «creatori», donatori di vita e forma. E d’altra parte alcuni esiti del platonismo e la religione cristiana hanno contribuito a dare all’immagine costruita da mano d’uomo un valore di sacralità, di privilegiato contatto con un mondo «altro». Le origini di questo pensare sono, paradossalmente, anche nelle immagini «acheropite», cioè «non dipinte da mano d’uomo», veli della Veronica o sindoni o altre tracce divine, che tanta importanza ebbero nei primi mille anni della nostra era. Se lo stesso Dio lasciava immagini di sé, perché non imitarlo? Conseguenza diretta di altra e ben più profonda considerazione: se lo stesso Dio si è reso visibile assumendo un vero corpo, perché non perpetuare la sua memoria e rinvigorire l’attesa del suo ritorno attraverso la pittura della sua immagine?
A partire dal 727, in un momento di consolidamento del potere del basileus, sotto il regno di Leone III (717-741) e poi di suo figlio Costantino V (741-775), si proibisce la costruzione e il possesso di immagini di Dio e dei santi. L’atto formale con cui si avviò la campagna iconoclasta è la deposizione e distruzione dell’icona di Cristo affissa sopra la Chalke, la porta di bronzo che serviva da ingresso principale del palazzo imperiale di Costantinopoli. Ovunque, ma soprattutto nella capitale, pitture e sculture sacre vengono distrutte e sostituite da semplici croci. Non è il patriarca, ma l’imperatore a decidere questa politica iconoclasta, per motivi diversi e tuttora oggetto di discussione tra gli storici: per influenza dell’iconoclasmo islamico ed ebraico; per sottolineare la valenza religiosa del potere imperiale nel proporre come unico simbolo la croce, che è anche un segno della tradizione costantiniana e del ruolo dell’imperatore in ambito religioso; ovviamente per opporsi alla Chiesa di Roma, prendendo le distanze dalla tradizione didattica radicata in Occidente; ma soprattutto per arginare il potere dei produttori e…
Giovan Battista Ayroli
Lazzaro Mocenigo
Giuseppe Campori
Alfonso Varano
Conoscere sarà dunque interpretare: procedere dal segno visibile a ciò che attraverso esso viene detto, e che resterebbe, senza di esso, parola muta, assopita nelle cose.
Paolo Boschetti
Il teatro del Collegio
L’ebreo emancipato
Sacra Famiglia con una Santa
Filosofia e teatro
Il Simposio da Platone, mise en espace, ERT − Emilia Romagna Teatro Fondazione e Fondazione San Carlo, 8 – 10…
Utopie di ieri, utopie di oggi
Un originale cantiere di idee e di riflessioni. Appare questa la formula più indicata per definire il workshop con le…
Un incontro da Nobel
Si è prolungato a lungo per rispondere alle curiosità degli studenti l’incontro con Alberto Gatto, ricercatore al Politecnico di Milano…
Si è prolungato a lungo per rispondere alle curiosità degli studenti l’incontro con Alberto Gatto, ricercatore al Politecnico di Milano presso il dipartimento di Elettronica, informazione e bioingegneria, membro del gruppo di lavoro che ha dimostrato l’esistenza delle onde gravitazionali, ottenendo il Nobel 2017 per la fisica.
In una lezione chiara e appassionata, Alberto Gatto ha raccontato ai collegiali della Fondazione San Carlo “Perché Einstein aveva ragione (ma dimostrarlo è stato difficile)”. La sua testimonianza sulla scoperta delle onde gravitazionali, sulla bellezza della ricerca scientifica e sull’importanza di sbagliare è stata di stimolo e di ispirazione per gli studenti.
Nel racconto di Gatto, “il 14 settembre 2015 alle ore 11.51, per la prima volta nella storia, un team di ricerca…
Si è prolungato a lungo per rispondere alle curiosità degli studenti l’incontro con Alberto Gatto, ricercatore al Politecnico di Milano presso il dipartimento di Elettronica, informazione e bioingegneria, membro del gruppo di lavoro che ha dimostrato l’esistenza delle onde gravitazionali, ottenendo il Nobel 2017 per la fisica.
In una lezione chiara e appassionata, Alberto Gatto ha raccontato ai collegiali della Fondazione San Carlo “Perché Einstein aveva ragione (ma dimostrarlo è stato difficile)”. La sua testimonianza sulla scoperta delle onde gravitazionali, sulla bellezza della ricerca scientifica e sull’importanza di sbagliare è stata di stimolo e di ispirazione per gli studenti.
Nel racconto di Gatto, “il 14 settembre 2015 alle ore 11.51, per la prima volta nella storia, un team di ricerca è riuscito a captare un’onda gravitazionale, dopo almeno cent’anni di ricerche. È come se, quel giorno, avessimo iniziato a sentire: fino a lì avevamo condotto le nostre ricerche come se avessimo avuto un solo senso, quello della vista. In quel momento era come se, per la prima volta, nella ricerca delle origini dell’Universo avessimo acquisito l’udito”.
L’incontro è stato condotto dal professor Alberto Quartarone, docente all’Università Luigi Bocconi di Milano e autore televisivo, titolare di un corso di comunicazione e personal branding nell’ambito del progetto formativo del Collegio.